La rottura totale: cina bandisce i chip usa. Pechino ordina la rimozione degli hardware stranieri: Nvidia e Intel fuori dai data center di Stato

Francesco Polli

Novembre 6, 2025

La Cina ha lanciato una delle direttive più dure mai viste contro la tecnologia americana: nei data center finanziati dallo Stato potranno entrare soltanto chip di produzione cinese. Un ordine che non vale solo per i futuri progetti ma che impone la rimozione dei chip stranieri già installati nei data center ancora in costruzione e arrivati a meno del 30% dello sviluppo. È una rottura netta, un segnale politico e industriale che si inserisce in una fase in cui la competizione tecnologica tra Washington e Pechino ha ormai assunto i tratti di una rivalità sistemica e senza ritorno. La decisione colpisce direttamente i colossi americani come Nvidia, AMD e Intel, che negli ultimi anni hanno trovato nella Cina uno dei mercati più ricchi e strategici per i loro acceleratori dedicati all’intelligenza artificiale. Fonti industriali parlano di progetti sospesi, inclusa una maxi struttura nel nord-ovest del Paese che avrebbe dovuto integrare GPU Nvidia prima che tutto venisse congelato. Dal 2021 i data center IA in Cina hanno attratto oltre 100 miliardi di dollari in fondi pubblici e praticamente ogni infrastruttura cloud locale beneficia, in un modo o nell’altro, di supporto statale. Se questo stop diventerà totale, cambierà le regole del gioco globale.

Perché la Cina chiude ai chip Nvidia e accelera sull’autosufficienza digitale

La nuova norma non è un episodio isolato ma l’ultimo tassello della strategia cinese per blindare la propria sovranità digitale. Dal software al cloud, fino al 5G e alla cyberguerra, Pechino punta a eliminare ogni dipendenza critica dall’estero e soprattutto dagli Stati Uniti. Chi lavora nel settore delle infrastrutture descrive una pressione crescente: non basta più preferire “prodotti cinesi”, ora si tratta di vietare fisicamente l’hardware USA nelle spine dorsali del Paese. La Cina non vuole farsi trovare scoperta: teme scenari di blocco tecnologico, embarghi sempre più duri e possibili limitazioni ancora più drastiche da parte americana, come quelle annunciate dal presidente Donald Trump, intenzionato a “riservare i chip avanzati solo agli Stati Uniti”. L’effetto immediato è che Nvidia, un tempo dominatrice del mercato cinese con una quota vicina al 95%, si ritrova improvvisamente quasi fuori gioco: i suoi chip H20, studiati appositamente per rispettare i limiti export USA, rientrano comunque nelle restrizioni cinesi e i modelli più avanzati, come B200 e H200, sono già soggetti a controlli americani. La Cina quindi accelera su alternative domestiche: Huawei con i suoi processori Ascend 910C — che punta a produrre in 600.000 unità entro il 2026 — ma anche Cambricon, Moore Threads, MetaX. Le aziende locali non hanno ancora la potenza degli equivalenti americani, lo sanno anche i dirigenti di Pechino, ma l’obiettivo non è competere oggi, bensì garantire che nel giro di pochi anni l’ecosistema cinese sia indipendente, ottimizzato per il software locale e impenetrabile da pressioni esterne. Una corsa contro il tempo che potrebbe tuttavia rallentare l’evoluzione tecnologica cinese nel breve periodo: l’IA non si costruisce solo con investimenti, serve anche accesso alle tecnologie più avanzate, e il gap hardware tra Silicon Valley e i chip cinesi rimane ancora significativo. Ma Pechino sembra preferire pagare questo prezzo oggi pur di non doverlo pagare domani, quando la nuova partita della supremazia tecnologica mondiale entrerà nella fase più dura e definitiva.

Come la decisione può ridefinire l’equilibrio globale dell’IA e perché riguarda anche l’Europa

Sul piano geopolitico la scelta di Pechino manda un messaggio chiaro: la corsa all’intelligenza artificiale non è più un confronto commerciale ma un nuovo terreno della competizione tra superpotenze. Chi controlla i chip controlla i modelli, i dati, la sicurezza e persino la stabilità finanziaria del futuro. Gli Stati Uniti consolidano il loro protezionismo tecnologico, la Cina risponde costruendo una catena produttiva blindata e interna. Il rischio? Una frammentazione globale della tecnologia, con ecosistemi incompatibili, standard divergenti e alleati costretti a scegliere da che parte stare. L’Europa, intanto, resta nel mezzo: senza player propri nel settore dei chip IA avanzati, rischia di essere un consumatore dipendente sia dalla Silicon Valley che, per alcune forniture, dalla Cina. Il risultato finale potrebbe essere un mondo digitale diviso come mai prima d’ora, dove l’innovazione non viaggia più in modo globale ma viene filtrata da governi, regolamenti e frontiere tecnologiche. E se il divario tecnico tra i due mondi dovesse ampliarsi, non sarà solo una battaglia di microprocessori: sarà una questione di potere politico, militare e culturale. Per ora la Cina corre sul suo binario nazionale, pronta a sacrificare la performance immediata per avere in mano il timone del futuro digitale. Una scelta che farà discutere, ma che racconta perfettamente in che fase è entrata la guerra dei chip: nessuno vuole dipendere da nessuno, e a guidare non è più il mercato, ma la geopolitica.